Di Bologna si è detto tanto, forse tutto.

Dai più comuni stereotipi come la Rossa per il colore dei mattoni dei vecchi edifici, la Dotta grazie alla più antica università d’Europa, la Grassa per il calorico folclore culinario che va dai tortellini in brodo alle tagliatelle al ragù e alle lasagne e per i luoghi che l’hanno resa la celebre città turrita come le torri Asinelli e Garisenda simbolo della città.

Ma della bolognesità?

Abbiamo esportato “l’umarell” in tutta la nazione e questo è un grande vanto. Nel 2020 Topolino ha perfino pubblicato un episodio dedicato agli umarells. Nel 2021 questo termine è entrato a far parte del vocabolario Zingarelli con definizione “pensionato che si aggira per lo più con le mani dietro la schiena presso i cantieri di lavoro controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono”.

Ma la innata essenza della moderna bolognesità è stata applicata al concetto di convivialità. Oltre alle tipiche osterie che hanno dissetato per secoli cittadini ed avventori di ogni luogo, si sono trasformate le botteghe ed i banchetti dei mercati alimentari diurni del centro di Bologna in luoghi di ritrovo serale e notturno.

Nel centro di Bologna, ovvero detto alla bolognese “in centro”, si mangia a qualunque ora, si spizzica in ogni angolo, seduti su panchetti, sgabelli, scomode scranne, muretti e fittoni. A prescindere dal tipo di bevanda il re del tavolo è di sicuro il tagliere di salumi.

Lontani dagli eleganti aperitivi milanesi o dalla macchia rosso-arancio degli spritz del veneto, a Bologna comanda il democratico suino. Avvocati a fine giornata in divisa da avvocato seduti di fianco a giovanissimi studenti in tenuta da studente alternati a riconoscibili turisti ed al resto dei bolognesi di qualunque età e look.

Un melting pot di bocche che masticano, bevono e parlano di Bologna. Camminando per vicolo Ranocchi, via Pescherie vecchie o via Clavature, si è accompagnati da un sottofondo sonoro, un “chiacchericcio” estivo paragonabile al suono delle cicale, quasi assordante. Chiudendo gli occhi è piacevole concentrarsi sui profumi: crescenta calda – la tipica focaccia alta avanzo dell’impasto del pane a cui già in origine il fornaio aggiungeva sapore con quello che aveva a disposizione – mortadella, salamino, prosciutto, grana, mescolato a profumo di frutta o pesce fresco proveniente dalle botteghe. Fino a notte fonda. Sette giorni su sette come direbbe Luca Carboni. Sono i moderni “biassanot” ovvero i tiratardi che battevano le osterie della città per tutta la notte.

Questo dimostra che l’abitudine di ritrovarsi in centro a tirar tardi è presente ormai da secoli. Che si chiami osteria, bottega o localino. Nelle vie del quadrilatero cambia la moda ma non la tradizione.

È stato forte, quasi commovente ritrovare le stradine del centro incorniciate da tavolini gremiti dopo le chiusure obbligate a causa della pandemia. Il centro è stato deserto per molti mesi. I bolognesi però durante questo periodo non si sono chiusi in casa, bensì hanno affollato i colli, riscoprendo attitudini alla marcia e l’amore per la natura.

Articolo di Silvia Di Graci

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