A brevissima distanza temporale dalla diagnosi, ho preso la decisione migliore che potessi prendere: iniziare a fare sport.

– Michele Mercorelli

Oggi, 14 novembre, ricade quella che nel 1991 è stata istituita dall’IDF (International Diabetes Federation, Federazione internazionale del Diabete) e dall’Organizzazione mondiale della sanità come la giornata mondiale del diabete.

Il diabete è una malattia cronica che si verifica quando il pancreas non produce abbastanza insulina – l’ormone che regola la glicemia – o quando il corpo non può utilizzare efficacemente l’insulina che produce. L’iperglicemia, o aumento della glicemia, è un effetto comune del diabete, che se non trattato nel tempo porta a gravi danni per la salute.

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Qualche numero riportato dall’Istituto Superiore di Sanità

Secondo i dati pubblicati nel 2017 dalla World Diabetes Federation nel mondo sono 425 milioni le persone che vivono con il diabete (1 adulto su 11) e 212 milioni (1 adulto su 2) non sanno di averlo. In Italia, l’Istat stima che nel 2016 le persone con diabete sono oltre 3 milioni e 200 mila, cioè il 5,3% dell’intera popolazione.

Ecco perché è importante che l’attenzione e la sensibilizzazione su questa malattia restino sempre alti.

Oggi le linee guida nazionali includono alcune importanti raccomandazioni nella gestione della malattia che possiamo riunire nello stabilire un equilibrio su tre livelli: terapia (insulina o pillole), la propria dieta alimentare e la quantità di esercizio fisico.

È proprio sull’importanza dell’esercizio fisico che vogliamo parlare oggi e lo facciamo con Michele Mercorelli: 35 anni, marito di Nadia Alice, papà di Emma ed Andrea, impiegato in banca, podista e diabetico di tipo 1.

Michele, quando è arrivata la diagnosi di diabete e come l’hai affrontata nell’immediato?

La diagnosi è arrivata a fine agosto 2014, quando avevo da poco compiuto i 28 anni. Fortunatamente non ho avuto un esordio traumatico, nel senso che sono arrivato al pronto soccorso con glicemia relativamente bassa (270 circa), e comunque non ancora tale da rischiare guai peggiori. Sono stato ricoverato per appena tre giorni, in cui comunque mi sono mantenuto su di morale e combattivo, e poi sono uscito per affrontare la mia nuova vita.

Per fortuna tendo a non abbattermi e ad avere un approccio razionale alle cose: cerco di analizzare il problema, sviluppo un elenco di possibili soluzioni, mi do degli orizzonti temporali e cerco di rispettare quanto programmato al meglio che posso.

Ciò non significa che la cosa non ebbe impatto a livello emotivo su di me, ma le diedi un peso relativo, forse per incoscienza, o forse semplicemente perché ero rassegnato all’idea che non mi sarei mai più liberato del diabete di tipo 1, dissi a me stesso – ora occorre fare ciò che va fatto, la mia vita, le mie abitudini, non saranno più le stesse, ma sono determinato a fare in modo che tutto vada bene, e credo anche di avere le risorse giuste a tal scopo -. Insomma, avevo fiducia in me stesso, e non poteva essere altrimenti, perché le alternative avrebbero potuto essere solo l’abbandonarsi allo sconforto o, peggio ancora, rifiutare la malattia, fare finta di non averla e quindi, di conseguenza, non trattarla.

Tra l’altro, nell’occasione della diagnosi di diabete, paradossalmente mi sono sentito quasi sollevato nel sentirmi dire che era una malattia che avrei potuto gestire. In realtà, al mio arrivo al pronto soccorso, ero terrorizzato che potesse essere qualcosa di molto peggiore. Quando il medico mi disse che avevo il diabete di tipo 1, la prima cosa che pensai fu: ok, non so cosa dovrò fare da oggi in poi, ma almeno la pelle a casa la riporto!

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Ma quali sono i sintomi tipici del diabete? É importante saperlo, almeno per due motivi. Il primo è che ci sono molti diabetici di tipo 2 che non sanno di esserlo, perché provano questi sintomi, ma li ignorano o non gli danno peso. Il secondo motivo è che, purtroppo, spesso il diabete di tipo 1 colpisce in età infantile, e per un genitore non è semplice decifrare i sintomi del proprio piccolo. Il fatto è che prima si intercetta la diagnosi di diabete, e minore è il rischio che essa possa portare a complicanze o, addirittura, al coma. Spossatezza, sonnolenza, difficoltà visive (io, ad esempio, non riuscivo a mettere a fuoco gli oggetti a più di 3-4 metri di distanza), alito cattivo, ma soprattutto un ciclo continuo di sete insaziabile e pipì abbondantissima e frequente. Questi sono i principali sintomi che non bisogna assolutamente trascurare! Io li avevo tutti.”

 

Cosa è cambiato da quel momento nella tua vita?

“Dal momento della diagnosi, la mia vita è cambiata drasticamente, ed io con essa. La mia quotidianità è, ovviamente, diventata più difficile, ma nello stesso tempo io sono diventato una persona più consapevole. Con il diabete, ogni giorno sei costretto ad affrontare azioni banali, direi automatiche e quasi inconsapevoli per i soggetti sani, come fossero sfide, esami. Fare sport, affrontare l’ansia per un esame o per un nuovo lavoro, mangiare, dormire, fare una semplice passeggiata: per noi diabetici sono azioni che richiedono scelte consapevoli e, spesso, pianificazione, perché la glicemia raramente ci accompagna senza disturbare. Così, per minimizzare il margine di errore, ci rifugiamo in ciò che abbiamo già provato e collaudato (l’esempio tipico è il cosiddetto “comfort food”), che comunque non ci garantisce il risultato che ci aspettiamo.

Il giorno in cui sono uscito dall’ospedale ho iniziato a studiare, soprattutto il tema dell’alimentazione, ad esempio quali sono gli alimenti che incidono di più sulla glicemia, e quali meno. Ho inizialmente eliminato tutto ciò che temevo potesse mettermi in difficoltà per poi, con il tempo, reintrodurlo gradualmente, man mano che prendevo dimestichezza con l’insulina e, più in generale, con la malattia. Ho gradualmente potenziato gli strumenti per affrontare il diabete, passando dalla misurazione capillare al sensore, e poi dal sensore meno evoluto a quello più evoluto. Sono passato dalla terapia multi-iniettiva al microinfusore, e ciò mi ha permesso di tornare ad una qualità della vita che non avrei immaginato qualche anno fa. Infine, sempre a brevissima distanza temporale dalla diagnosi, ho preso la decisione migliore che potessi prendere: iniziare a fare sport.”

Cosa ha rappresentato lo sport, e in particolare una disciplina così sfidante come la maratona, nella gestione della malattia?

Lo sport ha rappresentato una svolta, sia a livello mentale che fisico. Da ragazzino ho giocato a basket diversi anni, ed ho comunque sempre praticato sport, ma ho smesso intorno ai 17 anni per varie ragioni concomitanti. A 28 anni suonati, in risposta all’arrivo del diabete, ho deciso di iscrivermi in palestra. Andavo 3 volte a settimana, senza altre pretese che sentirmi bene e migliorare la gestione della glicemia con muscoli allenati e, quindi, metabolicamente attivi. Da allora, a parte una sosta forzata di quasi due anni a causa di una parentesi professionale che non si conciliava affatto con le esigenze di un diabetico, il mio legame con lo sport è diventato sempre più stretto. Nel 2019 ho iniziato a praticare la corsa, oltre ai pesi. Oggi, la mia routine settimanale prevede 2 allenamenti di pesi e 4-5 allenamenti di corsa. Corro circa 60-70km a settimana, ma sto cercando di aumentare, compatibilmente con lavoro e famiglia.

La corsa, per me, è un continuo rilancio, una sfida con me stesso, mi dà la grinta e la determinazione per portarmi appresso il fardello del diabete. Questo principalmente per due motivi: il primo é che, ovviamente, mi aiuta nella gestione della glicemia, sia perché mi garantisce elevati livelli di sensibilità insulinica, sia perché mi permette di conoscermi a fondo. Districarsi tra sensore, microinfusore ed integrazione alimentare prima, durante e dopo una gara, è sicuramente una situazione complicata, quasi estrema, dalla quale c’è molto da imparare. Se si impara a gestire la glicemia in contesti così sollecitati, è chiaro che anche la quotidianità diventa molto più semplice da affrontare. Molti, e di questo ne sono onorato, mi scrivono attraverso i vari social per capire come poter affrontare uno sport di endurance come la corsa, senza andare inevitabilmente in ipoglicemia. Io, dico sempre, l’ho imparato per tentativi ed errori, ed a parte il raccontare un po’ la mia esperienza personale, il consiglio universale che do a tutti è semplicemente quello di provare, senza paura.

Il secondo motivo per cui non riuscirei più a fare a meno della corsa, è la maggior libertà che essa mi consente di avere a tavola. Ho sempre amato il cibo. Prima del diabete, con il senno di poi, posso dire che mangiavo troppo e male, e non conducevo una vita sufficientemente attiva.

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Oggi, supporto l’attività fisica con un adeguato introito calorico, che cerco comunque di rendere sostenibile dal punto di vista della gestione della glicemia, ma il punto è che apprezzo molto di più ciò che metto dentro il piatto, perché lo considero un alleato che, comunque, devo trattare con rispetto. Pasta, pane, frutta, patate, legumi, sono alimenti indispensabili per un runner, ma tradizionalmente sconsigliati ad un diabetico. Io ne mangio quotidianamente senza, però, esagerare perché, in fin dei conti, a far la differenza sull’impatto glicemico è più la quantità che la qualità del cibo (vedasi la differenza tra indice glicemico e carico glicemico). Inoltre, non deve mai mancare l’appuntamento settimanale con la pizza!”

C’è qualche gara in particolare a cui aspiri?

“Ci sono varie competizioni a cui aspiro, perché ognuna è diversa dall’altra. Mi piacerebbe correre la 100km del Passatore ma, più in generale, mi piacerebbe familiarizzare meglio con le distanze che vanno dalla maratona a salire. Mi piacerebbe correre in giro per il mondo, ma per ora attendo con pazienza la fine della pandemia…

La competizione più bella, comunque, è quella con me stesso. Negli ultimi mesi, in allenamento, ho fatto progressi che non avrei mai immaginato, e continuo a spingere per vedere dove posso arrivare. Finché avrò questa motivazione, alzarsi la mattina alle 5 per andare a correre prima del lavoro non sarà un problema!”

 

Cosa ti senti di dire a chi si sta trovando ora nella fase di accettazione della diagnosi di diabete?

“Questa domanda mi mette sempre in difficoltà, perché ognuno è diverso, e gli argomenti che per me possono essere motivanti, per altri potrebbero essere addirittura controproducenti. Accettare la malattia è, comunque, un passaggio obbligato per iniziare a gestirla con il giusto approccio.

Per quanto mi riguarda, ciò che dico sempre è che, per assurdo che possa sembrare, il diabete di tipo 1 mi ha dato più di quanto mi abbia tolto.

Sono diventato una persona consapevole, che presta la massima attenzione al cibo che introduce nel proprio corpo. Ho imparato a leggere i valori nutrizionali, ho imparato a mangiare verdura, ho imparato il senso della misura e persino a godermi quella sacrosanta volta in cui lascio il freno e mi concedo uno sgarro.

Sono diventato un atleta, e la forza per avere la costanza necessaria l’ho trovata nel mettermi in competizione costante con la malattia. Mai, mai nella vita avrei immaginato di correre una maratona. Sarcasticamente, ringrazio il diabete per la persona che sono diventata: lui non mi molla, ma io non mollo!

Infine, il diabete mi ha insegnato ad ascoltare il mio corpo, ed a ricordami di non trascurarlo, perché non ne ho un altro in cui abitare. Insomma, il diabete mi ha insegnato a volermi bene!”

Sei un autore del blog Cronache di tipo 1. Ci racconti come nasce e a chi è rivolto?

“Il blog Cronache di Tipo 1 nasce nei primi mesi del 2019 con l’intento di fornire uno strumento tanto banale quanto, probabilmente, necessario: una guida per i neo-diabetici.

Diciamo la verità: la prima cosa che si fa quando si viene anche solo sfiorati da una malattia (o anche da un semplice sintomo) è andare a cercare in Google. Tralasciando il fatto che lì si legge di tutto, e quindi è il modo migliore per farsi impressionare, con riferimento al diabete ci siamo accorti che c’erano tante informazioni frammentate, molto tecniche e poco pratiche.

Quando mi hanno detto che avevo il diabete, ho letto tanto in Internet, ma non ho trovato risposta alla domanda per me più importante: – ok, ho il diabete di tipo 1, ma “operativamente” cosa significa? -.

Raccontando le nostre esperienze quotidiane, e quindi niente accademia, ma fatti di vita, Francesca Lovisari, Michela Pilloni ed io cerchiamo di essere utili a chiunque voglia leggere i nostri articoli: – vorrei iniziare a fare sport ma ho il diabete, come posso approcciarmi, Ho il diabete di tipo 1 e devo trasferirmi all’estero, quale iter devo seguire? –.

I nostri temi sono fatti di vita quotidiana raccontati da noi che, ci tengo a precisare, non siamo dottori. Ciò che facciamo e scrivere per offrire spunti, ma la regola numero 1 che forniamo a tutti i lettori è quella di consultarsi con il proprio diabetologo prima di prendere qualsiasi decisione! Come ho scritto sopra, siamo tutti diversi, è ciò che vale per me non è detto che valga per gli altri.”

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