Ecco perché la storia è importante.
Quando sarò sola e smarrita, tu me la leggerai – così come l’hai
raccontata ai ragazzi l’altro giorno, e convinciti che in qualche modo
io capirò che si tratta di noi.
E forse, solo forse, riusciremo ad essere ancora uniti.
Per favore, non arrabbiarti con me nei giorni in cui non ti riconoscerò.

SPARKS N. – Le pagine della nostra vita

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa particolarmente insidiosa che si riscontra nel 50% dei casi di demenza, i cui sintomi – nella fase iniziale deterioramento della memoria e di almeno un’altra funzione cognitiva -interferiscono con le normali attività quotidiane del malato, sia relazionali che lavorative, e con la sua autonomia.

Come si evince anche dalla citazione del libro, la perdita della memoria, unitamente ad altri sintomi crea solitudine e smarrimento, che sono colmati proprio dal familiare che si occupa della persona colpita.

Accanto ai pazienti, infatti, esiste una larga fetta di popolazione la cui vita è indissolubilmente legata al malato stesso: i cosiddetti caregiver, termine anglosassone per definire coloro che si prendono cura.

Molto spesso sono i familiari che silenziosamente accompagnano i pazienti affetti da Alzheimer nel decorso della malattia, diventandone parte integrante e che a loro a volta necessitano di supporto e attenzione.

La demenza, infatti, è una malattia che coinvolge tutta la famiglia sia per l’impegno assistenziale che per gli aspetti emotivi e relazionali che implica. Dopo la difficile accettazione della diagnosi, infatti, il progredire della malattia porta con sé cambiamenti radicali anche nelle relazioni interpersonali, che subiscono una riorganizzazione e una perdita: ad esempio il figlio si trasforma in una sorta di genitore accudente perdendo la figura genitoriale presente fino a poco tempo prima.

Spesso da parte del caregiver familiare emerge la condizione di non essere riconosciuto dopo una vita trascorsa insieme, provando quindi la privazione non solo del rapporto ma anche della sua stessa storia affettiva, questo unitamente ai comportamenti talvolta assurdi e incomprensibili del malato finiscono per mettere alla prova anche il legame affettivo.

Chi è il caregiver familiare

I dati raccolti dall’AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer) ci forniscono un profilo del caregiver familiare costituito soprattutto dal sesso femminile, il 76.6% contro il 23.4% degli uomini e che tende a concentrarsi nella fascia di età compresa tra i 46 ed i 60 anni.

Il carico assistenziale del caregiver è spesso molto oneroso, sia in termini di fatica che di tensione emotiva tanto da poter compromettere la salute fisica e psicologica.

I familiari sono coinvolti sia sul piano pratico-organizzativo che su quello emotivo, soli a portare un duplice carico, definito come Caregiver Burden – che letteralmente significa peso legato all’assistenza di un malato- che può portare a problemi di salute (insonnia, stanchezza, etc.), a difficoltà di tipo emotivo (stress, ansia e/o depressione, rabbia, frustrazione, senso di colpa, angoscia) e a problemi relazionali (isolamento sociale, diminuzione del tempo da dedicare ai propri bisogni, ad altri ruoli familiari, genitoriali, coniugali, professionali).

Quale supporto dare al caregiver di un paziente affetto da Alzheimer?

Purtroppo, non esistono risposte semplici o regole fisse da seguire che possano essere valide in ogni contesto, ogni malato è diverso, così come diversi sono i caregiver e i contesti familiari, socioculturali ed economici in cui si inserisce la malattia, che oltretutto varia nelle fasi del decorso richiedendo flessibilità continua.                                                                                      

Certamente conoscere la malattia, ricevere informazioni chiare su cosa ci si può aspettare nel tempo renderà il percorso di assistenza più consapevole. Sempre più spesso, infatti, si parla di “educazione terapeutica”: fornire le competenze adeguate essenziali alla sicurezza del paziente ma che preservino anche la salute della persona che se ne prende cura.

La consapevolezza della malattia da parte del caregiver è fondamentale perché facilita la comprensione dei bisogni del malato e conseguentemente ne migliora la cura.

L’ambiente di vita è altresì molto importante e nei limiti del possibile è auspicabile adattare i comportamenti del nucleo familiare alle condizioni del malato; per prevenire molti disturbi è necessaria la collaborazione di più figure, che si alternino sinergicamente nella gestione del malato.

Occuparsi di un malato con Alzheimer è un compito gravoso che solo una persona con una qualità di vita accettabile può sostenere, soprattutto considerando il fatto che si affronta questa condizione per un lungo periodo (in media dai 3 ai 15 anni) in cui si assicurano cure e si soddisfano continue richieste psico-fisiche.

Soprattutto nel caso ci sia un solo caregiver è raccomandabile, infatti, che possa concedersi dei momenti per vivere altri ruoli relazionali importanti, per dedicarsi anche ai propri interessi e sentirsi gratificato.

Un caregiver frustrato diventerà insofferente e rischia di diventare perfino dannoso per il malato stesso perché potrebbero venire meno capacità importanti come la compassione, la calma, l’ascolto e la lucidità che sono invece doti importantissime nella relazione con il proprio caro.

Da ‘altro canto anche un malato incompreso diventa molto più difficile da gestire perché sentendosi frustrato svilupperà più facilmente comportamenti gravosi.

In queste situazioni è bene che il caregiver familiare espliciti le proprie emozioni e difficoltà di gestione condividendole con gli altri membri della famiglia e con le altre figure professionali che si occupano della cura del paziente.

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La potenza e il conforto della comunicazione non verbale

E non dimentichiamo la grande forza di comunicazione del contatto fisico per trasmettere sensazioni positive, protezione e affetto.

Un abbraccio, una carezza, un bacio, possono essere molto potenti poiché gli affetti e le emozioni che rappresentano sono ancestrali e sopravvivono alla perdita della memoria.

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