In occasione della Giornata Internazionale del 25 Novembre anche noi desideriamo dare il nostro contributo, diamo voce a chi si occupa sul campo della violenza sulle donne e parliamo con Antonella Veltri: presidente di D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza.

Antonella Veltri è la presidente di D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, la più grande associazione nazionale che si occupa specificamente di violenza maschile sulle donne. È attivista del centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza, la città dove vive.

D.i.Re si è costituita formalmente nel 2008, ma le organizzazioni che hanno creato l’associazione erano attive fin dalla fine degli Ottanta, quando gruppi di donne hanno trasformato la militanza nel movimento femminista – che aveva portato all’emersione della violenza come esperienza condivisa da migliaia di donne e radicata nella struttura patriarcale della società – in un impegno concreto al fianco delle donne che subivano violenza, fondando i primi centri antiviolenza italiani e stabilendo le prime case rifugio a indirizzo segreto. Da allora la metodologia di accoglienza è andata consolidandosi in un percorso integrato, che va dall’accoglienza telefonica alla riconquista della propria autonomia, sempre mettendo la donna al centro. Un percorso che 10 anni fa ha trovato riconoscimento nei criteri stabiliti dalla Convenzione di Istanbul, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica, per l’istituzione dei centri antiviolenza.

2021: che anno è stato e che bilancio si sente di fare per quanto riguarda i vostri centri e le case rifugio?

” Il 2021 è stato per molti versi un anno terribile. E non solo per la pandemia che continua a non allentare la sua morsa. Non si è arrestata l’ondata di femminicidi, che dall’inizio dell’anno sono costati la vita a 103 donne. E negli ultimi giorni le cronache sono state funestate anche dagli omicidi dei bambini, fatti che diventa sempre più doloroso anche solo citare, perché ci confrontano con le falle di un sistema che non riesce a proteggere adeguatamente donne e minori nemmeno quando hanno fatto quello che viene loro sempre richiesto, ovvero denunciare la violenza.

Il 2021 è trascorso quasi interamente senza che venisse presentato il nuovo Piano nazionale antiviolenza, che avrebbe dovuto sostituire il piano scaduto nel 2020. Il nuovo Piano è stato presentato in Consiglio dei ministri solo il 18 novembre, manca ancora del piano operativo, e bisognerà attendere l’approvazione della legge finanziaria per avere conferma dello stanziamento dei fondi per i centri antiviolenza e le case rifugio e per le attività di prevenzione, formazione, sensibilizzazione. Nel frattempo il sistema di ripartizione e distribuzione delle risorse nei territori continua a essere disomogeneo, farraginoso e pieno di colli di bottiglia, con ritardi nell’erogazione dei fondi che si accumulano.

Il 2021 è stato anche l’anno del ritorno al potere dei Talebani, che ha confermato ancora una volta quanto lunga e difficile è la strada per l’affermazione dei diritti umani delle donne, a cominciare dal diritto a vivere una vita libera dalla violenza. D.i.Re ha lanciato il progetto “Un rifugio per la libertà” con una campagna di crowdfunding su Eppela che sarà attiva fino a metà dicembre, per poter accogliere le donne che potrebbero trovarsi costrette a lasciare il loro paese, nella speranza di vedere anche un maggiore impegno, a livello internazionale, per scongiurare quello che sembra un finale già scritto, e tragico, per migliaia di donne, bambine e ragazze. “

Cosa consigliate come primo approccio a chi è vittima o testimone di violenza affinché si attui un percorso strutturato e consapevole?

” Noi consigliamo di rivolgersi sempre a un centro antiviolenza, possibilmente un centro antiviolenza femminista, dove la metodologia di accoglienza è basata sulla relazione tra donne, e dove le donne sono accompagnate nel recuperare la fiducia in se stesse, nelle proprie capacità e nella possibilità di vivere una vita in autonomia, anche supportandole nell’inserimento lavorativo. D.i.Re ha da anni attivo uno specifico fondo, il Fondo Autonomia, alimentato con donazioni di imprese e di privati. Fino al 28 novembre è attiva la campagna “Componi la libertà” con il numero solidale 45591, finalizzata proprio ad alimentare il Fondo Autonomia, che consente alle donne in uscita dai percorsi di avere un supporto economico per affrontare spese quali le mensilità anticipate dell’affitto, l’arredamento della casa, ma anche un corso professionale o attrezzature per il suo futuro lavorativo Perché l’autonomia, l’indipendenza economica, sono essenziali anche per prevenire la violenza: dipendere economicamente dal partner porta troppo spesso le donne a resistere in relazioni abusanti. “

Si inizia a parlare di vittimizzazione secondaria, ovvero le circostanze in cui le donne diventano vittima per una seconda volta durante il percorso che segue la denuncia. Può spiegarci di cosa si tratta e cosa sta emergendo?

” È vero, grazie anche al lavoro di D.i.Re – e a quello di tante giornaliste che hanno saputo riconoscerne l’importanza – il tema della vittimizzazione secondaria ha cominciato a imporsi, evidenziando come le donne che decidono di separarsi dai maltrattanti – e dunque devono forzatamente intraprendere un procedimento presso il tribunale civile e, se hanno figli, presso il tribunale per i minorenni per definire i termini della separazione e dell’affido – si trovano a subire nuove sofferenze ascrivibili questa volta non ai maltrattanti, ma alle stesse istituzioni che devono proteggerle.

Vittimizzazione secondaria sono anche le troppo frettolose archiviazioni delle denunce, e dunque la sottovalutazione della parola delle donne, sia da parte delle forze dell’ordine che da parte dei magistrati. Vittimizzazione secondaria è l’ancora troppo frequente tentativo di addossare una qualche responsabilità della violenza alla donna che l’ha subita, come spesso succede sui media o anche nei processi penali.

L’anno scorso, proprio il 25 novembre, D.i.Re ha avviato il progetto Never Again, progetto finanziato dal programma Diritti Uguaglianza Cittadinanza dell’Unione Europea e realizzato in partnership con l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, che ne è capofila, il Sole 24 ore-Alley Oop, Maschile Plurale, MASC e Prodos Consulting. È un progetto che combina formazione e sensibilizzazione, proprio con l’obiettivo di dire “mai più” alla vittimizzazione secondaria.

Grazie a questo progetto è stato realizzato il primo corso online sulla vittimizzazione secondaria nel caso della violenza contro le donne, al quale si sono iscritti finora oltre mille partecipanti tra rappresentanti delle forze dell’ordine, magistrati/e, avvocati/e e giornalisti/e. Le iscrizioni sono aperte ancora fino al 30 novembre.

Never Again ha anche lanciato un video contest, riservato a giovani adulti tra i 18 e i 39 anni, per la realizzazione, entro l’8 maggio 2022, di cortometraggi di 5 minuti massimo che saranno premiati in occasione della prossima edizione di Alice nella città, sezione indipendente della Festa del cinema di Roma.

A luglio poi abbiamo presentato l’indagine Il (non) riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni, realizzata tra le avvocate dei centri antiviolenza della rete D.i.Re, che ha confermato la distorsione, operata a partire dall’entrata in vigore della legge 54/2006 sull’affido condiviso, del concetto di bigenitorialità, che si continua a far prevalere a qualunque costo, con l’idea che anche un uomo violento con la propria partner possa essere un buon padre, e senza tenere in alcun conto l’impatto della violenza assistita.

Per questo in occasione della Giornata internazionale sulla violenza contro le donne abbiamo presentato il nuovo Osservatorio sulla vittimizzazione secondaria di D.i.Re, un progetto che vedrà impegnate 30 esperte con diversi professionali, in ricerche quantitative e qualitative presso i centri antiviolenza della nostra rete, con lo scopo non solo di documentare l’impatto della vittimizzazione secondaria, ma anche di formulare proposte concrete alle istituzione per porre fine a questo calvario. “

La violenza assistita da parte dei bambini è un dramma nel dramma, quanto conta educare i bambini al rispetto e alla parità di genere nella sua esperienza?

” Educare i bambini e le bambine alla parità di genere conta moltissimo, e bisogna cominciare prima possibile, perché stereotipi e pregiudizi che condizionano i ruoli di genere ingabbiandoli in schemi di prevaricazione e controllo maschile sulle donne vengono assorbiti fin dalla più tenera età. Per questo tra il 2019 e il 2020 abbiamo realizzato, nell’ambito del progetto Libere di essere sostenuto dal Dipartimento per le Pari opportunità, una prima esperienza di sensibilizzazione destinata a bambini e bambine degli ultimi due anni della scuola dell’infanzia e dei primi due anni della scuola primaria, insieme a educatrici, educatori e insegnanti. Al cuore delle attività, incentrate sulla visione condivisa di brevi video seguiti da conversazioni con i piccoli e con i/le loro insegnanti, si è messo il concetto di potere. Perché essere libere significa poter essere e fare ciò che si desidera, ma questa libertà, che dovrebbe essere di ciascun individuo, maschio o femmina che sia, deve innanzitutto essere riconosciuta e rispettata. “

Aderiscono alla rete D.i.Re 84 organizzazioni, presenti in 19 regioni con 111 centri antiviolenza, oltre 60 case rifugio e circa 150 sportelli antiviolenza. Vi lavorano oltre 3 mila operatrici, che ogni anno supportano circa 20 mila donne, quanto è complesso far funzionare questa struttura?

” Far funzionare questa struttura è senz’altro complesso e non sarebbe possibile senza l’energia e l’impegno di ognuna delle donne che animano i centri antiviolenza che aderiscono a D.i.Re. Questa energia trova nutrimento nella condivisione della visione della violenza maschile contro le donne come fenomeno strutturale, radicato nella cultura patriarcale, che potrà vedere la fine solo cambiando questa cultura.

Quasi la metà delle operatrici, avvocate, psicologhe, attiviste dei centri antiviolenza della rete D.i.Re sono volontarie: donne che nell’impegno a supporto di altre donne in situazione di violenza realizzano la propria visione politica di un mondo, di un futuro, in cui la violenza maschile contro le donne sarà solo “un ricordo del passato”. Sappiamo che ci vorrà molto tempo, sappiamo che il cammino è faticoso, ma sappiamo anche che migliorare la condizione delle donne significa migliorare la condizione di tutta la società. “