La malattia oncologica coinvolge numerosi aspetti della vita della persona e, dal momento diagnostico ai successivi follow-up, sono numerose le ripercussioni anche psicologiche sul paziente oncologico e sulla sua famiglia.

Una terapia complessiva che includa la qualità della vita, in virtù di ricerche che dimostrano che un supporto psicologico specifico migliora l’efficacia delle cure oncologiche e produce notevoli benefici generali: allevia lo stress, riduce la paura, ed aumenta la capacità di tollerare la sofferenza.

Ne parliamo con la referente psicoterapeuta Silvia Varani della Fondazione ANT di Bologna, presente sul territorio dal 1978 e distribuita capillarmente in 11 regioni. L’associazione, nata grazie al Prof. Franco Pannuti, ha voluto associare la cura all’aspetto psicologico, portando nel confort dell’ambiente domestico l’assistenza da parte di équipe in cui sono integrate figure come medici, infermieri e psicologi.

silvia varani

ANT Italia ONLUS fornisce assistenza medico specialistica gratuita a casa dei malati di tumore senza alcun costo per le famiglie. In base alle risorse reperite sul territorio, ANT offre progetti di prevenzione oncologica gratuiti. Il credo di ANT è sintetizzato dal termine “Eubiosia” (dal greco, eu/bene-bios/vita, “la buona vita – vita in dignità”) intesa come insieme di qualità che conferiscono dignità alla vita, in ogni fase della malattia.

Come si svolge la vostra attività?

Le persone che si rivolgono a noi hanno ricevuto una diagnosi oncologica, indipendentemente dalla fase della malattia, noi offriamo la nostra assistenza nel loro domicilio.

Assistiamo anche in una fase precoce della malattia dove magari si sente il bisogno di supporto infermieristico per fare ad esempio un prelievo e inoltre accompagniamo le persone nelle varie fasi, anche qualora, purtroppo, emerga un’evoluzione più infausta affinché le persone abbiano la miglior qualità di vita possibile. Il tutto si svolge sempre in collaborazione con il medico di medicina generale, l’ospedale e le ASL.

Il Covid ha stravolto molti aspetti, fra cui le modalità di accesso alle cure e ha indotto molte persone ad uno stato di isolamento sociale, come ha notato questo impatto nella vostra esperienza?

 Sulle persone vulnerabili come il paziente oncologico l’impatto è veramente multidimensionale, anzitutto perché spesso sono persone immunodepresse per cui sono maggiormente a rischio.

A questo si lega l’impatto psicologico forte, soprattutto in termini di stress quindi caratterizzato dai sintomi come ansia, depressione, insonnia.

Molti servizi, oltretutto, sono più difficili da garantire al paziente, anche se stiamo cercando di assicurare un’assistenza completa. Col Covid si è visto come la medicina sul territorio vada potenziata e quanto sia sentito il bisogno di ricevere informazioni. Inoltre, svolgere le visite di controllo senza un familiare che possa accompagnare ha complicato ulteriormente.

La persona che soffre di un tumore purtroppo ha già visto in gran parte e stravolgere la sua vita quindi sicuramente l’isolamento e la paura di contagiarsi hanno aggravato la situazione già presente di stress tanto da necessitare di un supporto psicoterapeutico.

Per quanto riguarda il coinvolgimento dei familiari, quanto è importante fornire loro un supporto per agevolarli nell’accettazione e nella gestione quotidiana della malattia?

Questo è un altro argomento importantissimo, è giustissimo concentrarsi sulla persona ammalata di tumore, sulla situazione che sta vivendo ma questo doppio impatto c’è anche sul caregiver, perché è una patologia che colpisce una persona ma anche la sua famiglia.

A questo, ora si somma la paura di contagiare il proprio caro aumentando l’apprensione che si vive nella vita quotidiana e che limita moltissimo le persone che assistono una persona malata anche nei propri contatti sociali, per questo si parla di doppio carico dovuto al Covid.

Già la vita amicale e professionale del caregiver è schiacciata dal peso dell’assistenza ma ora con la pandemia viene meno anche quel minimo contatto sociale e la possibilità di avere un aiuto a livello organizzativo e pratico.

Si sente parlare moltissimo di mindfulness, pratiche di rilassamento complementari alle terapie ma che stanno prendendo molto strada nella psico-oncologia, le ritenete efficaci?

La riteniamo una tecnica assolutamente efficace, nel senso che è un aiuto molto forte e abbiamo un approccio molto favorevole che ovviamente è di supporto e di integrazione alle terapie standard.

Posso citare una nostra esperienza che si ricollega a questa: portiamo avanti un progetto già da qualche anno sull’utilizzo della realtà virtuale attraverso un visore che contiene degli scenari tridimensionali interattivi rilassanti che abbiamo costruito ad hoc con dei focus Group (una discussione di un gruppo di persone accuratamente selezionate dai ricercatori, che avviene alla presenza di un moderatore e la cui attenzione si focalizza su un argomento specifico, che viene analizzato in profondità. N.d.R.).

Nella vostra attività entrate molto intimamente nel tessuto della vita delle persone, andate nelle loro abitazioni, a stretto contatto del loro quotidiano, come si riesce a non lasciarsi coinvolgere quando si entra a contatto così stretto con i pazienti?

Non si riesce, posso affermare che ci coinvolgiamo, non siamo in un ospedale ma siamo noi “ospiti” nella casa del paziente senza barriere e senza camice.

Il giusto livello di coinvolgimento, senza farsi sopraffare dalle emozioni, serve per cogliere nell’insieme i bisogni specifici, per non standardizzare la cura e offrire piuttosto un sostegno personalizzato, in inglese si definisce tailored: confezionato su misura.

Dobbiamo essere noi a comprendere i bisogni del paziente e della famiglia, senza la presunzione di conoscerli già. Questo è quello che proviamo a fare e la vera forza è nel farlo per le 3000 persone che ogni giorno assistiamo, per le circa 10.000 che assistiamo in un anno.

Riteniamo che la territorialità non vada considerata come una situazione contingente e legata all’emergenza ma può essere un’occasione da non perdere per modularla anche nel futuro, proprio perché abbiamo capito che è essenziale per le persone più fragili, fra cui molti anziani.

Potenziare la territorialità, la domiciliarità dei servizi, significa impiegare diversamente le energie, ci piace pensare ad un progetto sostenibile – anche economicamente – in cui una persona che fatica ad andare in ambulatorio viene raggiunta a casa e  magari utilizza quell’energia per raggiungere un parco con il nipote.

 Scopri di più su tutte le iniziative della Fondazione ANT Italia Onlus.

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